LA CRONACA
 DEL WANDERER
N°100

"Dan Pickbread"



Il nostro amico Dan Pickbread (un nick dietro il quale si nasconde un noto socio) ha scritto questo bel testo che pubbliacchiamo volentieri come n°100 della cronaca del Wanderer


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Inverno 2005
















































































































































































































































































































Che cos'è il mito?

Generalmente è qualcosa di passato, di antico.

È un icona alla quale fare riferimento in relazione ad un sentire trascorso, non più collocabile nell'ambito della quotidianità. Spesso diventa qualcosa in cui rifugiarsi per esorcizzare la realtà che viviamo.

Se poi l’oggetto della nostra passione non fa riferimento al passato ma coincide con qualcosa di immanente, comunque deve restare qualcosa di non raggiungibile, di non rapportabile alla realtà di ogni giorno.

Tanto il distacco deve essere marcato rispetto alla realtà del quotidiano che si è soliti dire "non bisognerebbe mai conoscere i propri miti!".

Con questo timoroso sentire mi approcciai al Maestro Abbado la prima volta che ho avuto l'occasione di poter godere dal vivo della sua arte: il timore di veder crollare quel meraviglioso castello cristallino costruitosi intorno alle mie sessioni d'ascolto casalinghe.

Era mattina a Reggio Emilia quando finalmente il momento era giunto.

Dopo aver conosciuto la vulcanica presidentessa del CAI, che con la sua dedizione alla ferma intenzione di consentire a chiunque di poter attingere alla cornucopia abbadiana mi aveva procurato i biglietti non solo per la rappresentazione serale, che prevedeva la nona sinfonia di Mahler, ma anche il privilegio di poter assistere alla prova che la precedeva, varcai con rispettosa umiltà la soglia di quel teatro.

Dal palco, insieme ai simpaticissimi soci del CAI, attendevo impaziente la comparsa del maestro.

Non sapevo esattamente cosa aspettarmi, ero così emozionato: il maestro che fino ad ora per me era stata solo una icona virtuale stava per concretizzarsi in un evento reale e non mediato.

Addirittura il privilegio delle prove…

Ebbene, quello che ebbi modo di osservare non era semplicemente la constatazione di ciò che Abbado realmente è, ovvero non solo uno sterminato genio musicale con tutto quel che ne può conseguire, ma una persona umile nel suo deciso controllo della costruzione musicale.

La prova si svolse in un ambiente sereno, oserei dire familiare, in cui il “nonno” gestiva i suoi discepoli tra scambievoli sorrisi e brani di melodie naturalmente trasparenti…

Subito dopo lo svolgimento delle prove quelli del CAI, in occasione dell'approssimarsi della Pasqua, avevano pensato di omaggiare il maestro con uno splendido uovo di cioccolato.

Ed infatti quando, congedatosi dai musicisti, lo sguardo sereno del maestro incontrò il nostro gruppetto fremente, non appena l'uovo in tutta la sua maestà gli si parve davanti, con un ammiccamento della testa ci invitò a raggiungerlo in camerino.

La mia eccitazione era ormai al culmine: non solo le prove, non solo la futura esecuzione serale, ma anche l'assoluta fortuna di confrontarmi personalmente con il maestro.

Quando agitatissimo varcai, insieme ad Attilia e agli altri amici, la porta del camerino del Maestro, la prima impressione che riportai nello stringere la mano all'incarnazione stessa dell'amore per l'arte, la cultura e quindi la musica, fu quella di avere di fronte una persona la cui assoluta consapevolezza di sè aveva travalicato il consueto gioco delle parti che in queste occasioni si viene creare (genio da un lato e normalità dall'altro).

Quello che avevo di fronte era un uomo sereno, completatosi nel dipanarsi del suo viatico musicale e umano. Fu infatti estremamente accogliente e cordiale.

Avemmo modo di parlare delle risorse della città da cui provenivo, Napoli, e del sud il generale, lui che, milanese, si professava grande ammiratore del meridione d'Italia e della "meridionalità" dei suoi abitanti.

La conferma di quest'impressione di umanità, peraltro palpabile, la ebbi quando si affacciarono nel camerino due ragazze, intimidite anche loro dall'avere di fronte un così grande esponente di quanto le potenzialità umane possano essere vaste. Avendole viste il maestro ci chiese molto cortesemente scusa, le chiamò, e chiese ad una persona del suo staff di portargli "quella scatola".

All'interno di questa scatola c’era un completo assortimento di pregiatissime corde per archi che donava a queste due ragazze, rappresentanti dell'organico di un'orchestra cubana, raccomandandosi con paterno modo di stare attente in dogana per tema che potessero essere sequestrate.

Un gesto questo che testimonia come il suo impegno vada ben oltre quanto di meraviglioso può annidarsi tra le righe del pentagramma per abbracciare la tristezza del mondo che ci circonda nella speranza di poterne erodere le grigie sembianze.

Alla luce di tutto questo, se mai possibile, quell'esperienza si rivelò molto più di quanto avrei osato aspettarmi.

Tralascio la descrizione dell'emozione della serata che venne; i tre, quattro minuti di silenzio assoluto che fecero seguito allo spegnersi della nona sinfonia di Mahler e della tempesta di applausi che si scatenò non appena qualcuno, ebbro di cotanta musica e di quel silenzio nel quale ciascuno degli spettatori si ritrovò ad essere esecutore, proruppe in un "bravi!".

Un'emozione indescrivibile!

Già allora avevo pensato di mettere nero su bianco cercando di trasmettere quanto aveva provato; ma essendo stata la mia prima volta ero completamente abbagliato e qualunque cosa pensassi di scrivere mi sembrava assolutamente inadeguata alla meraviglia e allo stupore che mi avevano pervaso quella sera.

Adesso, dopo più di un anno, il privilegio di poter assistere un'esecuzione del maestro si è ripetuto e non posso tirarmi indietro di fronte all'obbligo di divulgare, con tutta l'umiltà che la mia imperizia tecnica deve comportare, quanto un esperienza musicale di questa portata possa essere afflato, comunanza d'intenti, meraviglia da condividere.

Ma veniamo all'evento bolognese.

Il motivo scatenante per cui il concerto del trascorso 8 giugno mi aveva attirato così tanto da farmi viaggiare da Napoli a Bologna era la possibilità di vedere coronato un sogno: il requiem di Mozart diretto dal maestro alla guida dell'omonima orchestra da lui fondata.

Ma procediamo con ordine.

La prima parte del concerto ha previsto l'esecuzione della suite da Prometeo di Luigi Nono.

È opportuno premettere a quanto sto per dire che la mia limitatissima competenza in campo musicale, maturata in anni di ascolti casalinghi essendomi negate per motivi di una non grande disponibilità economica le sale da concerto, è molto centrata sul classicismo viennese e sul romanticismo.

Del 900 conosco poco e tanto meno conosco le basi e la teoria della musica dodecafonica.

Mi limiterò quindi a cercare di descrivere le emozioni che tale esecuzione ha suscitato in me.

Dopo i primi momenti, peraltro previsti, nei quali mi sono trovato di fronte a qualcosa da capire e non da assaporare, mano a mano qualcosa di più concreto e di più naturalmente fruibile ha cominciato a farsi strada in me.

Quei sussurri, quegli echi, grazie all'amore con cui il Maestro li disegnava nell'aria con le sue abili mani, cominciavano a delinearsi in qualcosa di compiuto per il mio misero orecchio.

La delocalizzazione della fonte sonora operata attraverso la distribuzione spaziale degli orchestrali tra il palco, la balconata, la platea e la galleria che, a tutta prima, poteva rendere ancor più scollegato ciò che si andava compiendo, attraverso l'amorosa cura dell'abile tessitore paradossalmente si concretizzava nell'accentramento all'interno di me stesso dell'accadere musicale.

Era come se la l'evento sgorgasse dall'interno del mio corpo manifestandosi in maniera istintiva e naturale.

Altro non ho potuto fare che lasciami trasportare da quel fluire, da quel "panta rei" armonioso che d'un tratto, pur restando celato completamente alla parte razionale di me stesso per quanto concerne la sua interpretazione, diventava istintivamente intelligibile al mio cuore.

Quello che doveva essere un "passaggio obbligato" all'esecuzione del requiem diveniva così una meravigliosa scoperta: ancora un tassello della gratitudine che anima i miei sentimenti verso il maestro.

E così, dopo questa inattesa sorpresa, siamo giunti al requiem.

Anche qui poche parole, che sono sicuro saranno assolutamente insufficienti, per cercare di raccontare in sintesi una somma di emozioni.

La compostezza armoniosa, il ritmo sostenuto ed il pieno controllo dell'evento musicale esulante da qualunque facile retorica con cui questa meraviglia dell'arte Mozartiana ci è stata spesso presentata, ancora una volta ha suscitato in me un infantile stupore, così come accadde per il ciclo di sinfonie beethoveniane rinate a nuova essenza dopo la rivisitazione del Maestro.

Quanto da me ritenuto completamente conosciuto e dato per scontato rinasceva a nuova vita.

Rispetto alle varie interpretazioni che avevo avuto modo di ascoltare attraverso le incisioni in CD di altri grandi direttori, spesso dense di retorica che ne tradiva la collocazione storica e le intenzioni stesse del compositore, questa risultava sfrondata dai facili ammiccamenti offerti dalle infinite possibilità interpretative di questa meravigliosa composizione, ovvero si componeva nota dopo nota agli occhi della mia anima in un fluire talmente naturale da poter sembrare a tutta prima quasi troppo lineare.

Ma, dopo le prime battute, la reale densità dell'evento apparve in tutta la sua reale portata.

L'amen del Lacrimosa proposto con composto sentire, il Confutatis deciso ma non inutilmente imperioso, l'Agnus dei, celebrazione del contatto tra l'uomo della divinità, scorrevano estremamente potenti attraverso il mio inconscio seppur permeati da sonorità propriamente cameristiche.

Tempi serrati, assolutamente lontani dall'autocelebrazione, che rendevano il dipanarsi musicale assolutamente pieno di sé.

Niente effetti speciali, quindi, ma solo tanta meravigliosa, travolgente, vera musica.

E allora che cos'è il mito?

È la capacità con cui, sommessamente, si crea qualcosa di grandioso; è l'umiltà con cui ci si propone in tutta la propria grandezza; è l'assoluta padronanza del gesto musicale porto con raffinata ma decisa sensibilità.

A conferma di tutto questo c'è stato l'ulteriore contatto con il maestro, rocambolescamente cercato dopo il concerto.

Ancora una volta ho potuto assistere alla meravigliosa umanità di Abbado che, nonostante la stanchezza di una esecuzione così complessa, non ha voluto negarsi neanche ad uno della piccola folla di grati ammiratori che si era radunata dinanzi al suo camerino.

Per tutti ha avuto una parola, per tutti un sorriso.

Il suo raccontare di quanto avesse tribolato per poter proporre la suite da Prometeo, la sua soddisfazione per quanto raccolto subito dopo la sua esecuzione e la sua voglia di allargare la conoscenza della musica in tutti i suoi aspetti alla più grande platea possibile fa del maestro l'incarnazione di una somma di virtù che paiono anacronistiche considerata la povertà morale che impera ai nostri giorni.
Al ringraziamento quindi per tanta musica donata si unisce anche la gratitudine al divulgatore, che tanto ci ha dato, che tanto ci dà e che moltissimo (e come portarne dubitare?) ancora ci darà.
E fu così che io e i miei amici, ebbri di gioia e ricompensati dall'evento per le fatiche sostenute del viaggio affrontato, ritrovammo tutte le forze necessarie per un'intera notte d'auto e per la giornata lavorativa che ne è seguita, confortati nella stanchezza dal ricordo della meravigliosa serata trascorsa.

Lunga vita, maestro! Lunga vita alla musica!








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