LA CRONACA Guy Cherqui
11-12 Agosto Beethoven Anton Bruckner 17 &18 Agosto Lucerne Festival orchestra 20. Agosto Richard Wagner
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Se leggo invece la Neue Zürcher Zeitung ( altro paese, altra tradizione) leggo un’analisi precisa della serata sotto la piuma del grande Peter Hagmann, una vera critica musicale, non un’articoletto scritto “a dovere” per dire “il Corriere c’era”. La cultura critica nella stampa italiana (comme in quella francese tra l’altro, ad esempio Le Monde Le Figaro invece produce ancora qualche testo un po’ corposo) sta sparendo per lasciare spazio alla cronaca più seducente per il lettore medio (incapace ovviamente secondo i media di massa di accedere a un tanto di analisi e di riflessione). Sparisce la cultura critica perché sparisce anche un certo tipo di cultura fondata sull’approfondimento, e non sulla formula lapidaria..”ordinaria”. Quel poco di spazio dedicato all’analisi musicale critica in Italia è lasciato nella stampa quotidiana a giornalisti pur intelligenti e colti - conosciuti per il loro gusto per lo schieramento partigiano, questo “penchant” clanico che denunciavamo nell’editoriale di agosto 2005. Ancora una cosa, caro Girardi, Mahler non è stato mai in programma di un’inaugurazione a Lucerna, ma Debussy (2003), Wagner (2003-2004) e Strauss (2004). Mahler è sempre stato in cartellone nel secondo programma, nel 2003, 2004, 2005. Abbado è infatti molto attento alla costruzione e al ritmo dei suoi programmi. Il programma di questa inaugurazione proponeva il concerto n°3 di Beethoven per pianoforte e orchestra in do minore op.37, con Alfred Brendel solista. Ero ancora preso dal fascino dell’interpretazione di Martha Argerich a Ferrara, con una Mahler Chamber Orchestra più esile. Abbado aveva pienamente colto lo spirito più “leggero” che la Argerich aveva imposto, con un’interpretazione vivace, di geniale semplicità. Invece con Brendel, è chiaro che ci voleva un’altro tipo di approccio, con un’orchestra più importante, un suono più “presente”, un ritmo più marcato, una visione ad un certo punto forse più tradizionale, ma non meno affascinante, con queste rotture di ritmo, questo colore più maestoso, più “austriaco” da legare forse al Bruckner che seguiva, ma sempre molto personale, come sempre con Brendel, comprese le piccole imprecisioni tecniche, piccoli peccati che si perdonano di fronte alla monumentale interpretazione . Dalle tre esecusioni sentite (due concerti e la prova generale) il secondo concerto è stato forse il più convicente tecnicamente, con un dialogo più deciso tra direttore e solista. Un esempio: l’attaco a sorpresa del terzo movimento e la quasi assenza di silenzio tra secondo e terzo sembrava avere sorpreso perfino Abbado: Brendel ha lasciato nel secondo concerto quell’attimo di silenzio in più.... Brendel propone una visione più “tradizionale”, forse anche più costruita, più “messa in scena”, più intellettualizzata che di sicuro non si confa con il Beethoven degli ultimi anni di Abbado, snello, nervoso, vitale. Ma perché non lasciarsi andare al piacere di ascoltare qualcosa di diverso. E' ancora prova di ricchezza non..ordinaria quella di variare i discorsi e gli stili a secondo degli incontri con interpreti diversi: c’era l’impressione che si dividevano a vicenda la guida! La settima di Bruckner non poteva non ricordare cattivi momenti: l’ultima volta che la sentimmo, fu in questa sala, con i Berliner Philharmoniker, fine agosto 2000, con Bernard Haitink sostituendo Claudio Abbado gravemente ammalato. Molti di noi hanno qualche difficoltà con Bruckner: monumentalità, scrittura priva di quelle raffinatezze mahleriane, abuso degli ottoni, motivi troppo ripetuti, incapacità apparente a concludere. Ecco tutto quello che si sente . La Settima Sinfonia rimane con la Quarta la più conosciuta e la più popolare: essa fu il primo trionfo di Bruckner (a Lipsia il 30 dicembre 1884 sotto la direzione di Arthur Nikisch, il suo ammiratore dalla prima ora). La conosciamo anche bene perché fù utilizzata da Visconti nel suo film “Senso”. Eseguirla a Lucerna, a due passi da Tribschen dove Wagner passò anni così importanti, significa anche evocare il legame di Bruckner verso Wagner e l’ammirazione così forte verso il Maestro di Bayreuth. Dahlhaus diceva che mentre Wagner sosteneva che bisognava appoggiarsi sul linguaggio musicale beethoveniano per costruire il dramma musicale, Bruckner aveva invece utilizzato il linguaggio del dramma musicale per scrivere le sue sinfonie. Beethoven, Wagner, Bruckner...Siamo decisamente seguendo questo filo rosso della musica ottocentesca, ascoltando una sinfonia che è chiaramente un omaggio a Wagner, soprattutto nell’adagio, vero accompagnamento funebre (viene scritto subito dopo la morte di Wagner nel 1883 a Venezia), malinconico, utilizzando le rissorse del wagnerismo senza pero cadere nell’imitazione (con qualche citazione dei Maestricantori spesso presenti nel sinfonismo tardo ottocentesco). Con la sua orchestra “introvabile”, a proposito della quale si è scritto tutto, Abbado propone una lettura precisa come sempre, dalla quale fa emergere tutto il tessuto della composizione, tutti i livelli della strumentazione, che mettono ogni strumentista in risalto, la tromba di Reinhold Friedrich, i timpani di Raymond Curfs, i fiati e legni di Sabine Meyer, Albrecht Mayer, Jacques Zoon, ma quello che sorprende sempre, malgrado l’abitudine “dell’ineccepibile esecuzione ordinaria”, è la pienezza e la coerenza del suono, il vellutato, così sensibile negli archi (ho un debole per i cellisti). In questo contesto di perfezione, i momenti più forti rimangono l’attacco famoso del primo movimento nonché il suo crescendo finale, climax interrotto brutalmente, come sospeso, l’adagio con il gioco incredibile degli archi e dei fiati. Bruckner sa giocare con la melodia per poi interromperla , fonte di frustrazione per l'auditore, ma anche di tensione: il pubblico vive questa tensione fino all’esplosione. Esplosione..un termine che raramente si lega anche a dolcezza, raccoglimento, lirismo ardente e morbido. L’orchestra non è un’orchestra qualsiasi : aldilà dei solisti eccezionali che la compongono quasi tutti si conoscono, hanno lavorato insieme altrove, hanno conosciuto Abbado due, dieci, vent’anni fà : come diceva un giornalista tedesco “il maestro chiamò, e tutti vennero” . L’ambiente particolare, basta vederlo alla fine dei concerti quando tutti si abbracciano, si stringono a vicenda o negli sguardi e nei sorrisi che si scambiano durante l’esecuzione . Cemento del gruppo, Claudio Abbado, crea un’adesione non mistica, ma affettuosa. Esso trassuda la musica da tutto il corpo con calore, con sentimento, con slancio, con questa autentica vibrazione che trasmette così fortemente ai musicisti : basta leggere le espressioni del suo viso a volte teso, sorridente, raccolto, estatico per capire che quello che succede è vitale: niente ordinarietà, ma al contrario nuovi orizzonti, in piena coerenza con il motto del Festival “Neuland” (Paese nuovo).
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