LA CRONACA Ermanno Gloria
BOLOGNA Mozart Beethoven Giuliano Carmignola ORCHESTRA MOZART Claudio Abbado
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“Non eseguire più Beethoven” “Non eseguire più Beethoven” scriveva Gianandrea Gavazzeni in un provocatorio saggio relativo all’interpretazione di questo autore. In effetti si è raggiunta una tale inflazione di registrazioni e di esecuzioni che talvolta la saturazione all’ascolto dà luogo all’ovvietà, concordando così con il pensiero di Gavazzeni. “Non eseguire Beethoven”, ma se le esecuzioni avvengono come è successo a Roma nel 2001 per le nove sinfonie con i Berliner e ora, per la IV sinfonia a Bologna e a Reggio Emilia con la nuova Orchestra Mozart, complessi diretti da Claudio Abbado, decade clamorosamente questo concetto. Per la natura purissima della musica di Beethoven non si deve ricercare alcuna indicazione programmatica, e le esecuzioni di Claudio Abbado escludono assolutamente questo, ma tanta è la bellezza dei contrasti e dei colori in orchestra da provocare suggestive visioni musicali. L’inizio misterioso, della IV sinfonia, dato da pensosi accordi può suscitare qualche timore esistenziale, ma poco dopo ogni dubbio e dissolto da un ritmo danzante e, dall’amalgama sonora, gli archi emettono accordi ascendenti simile a zampilli che sprizzano gioiosamente uno dopo l’altro. Nel secondo tempo, adagio, gli archi entrano con timidi accordi per poi formare un’aulica melodia che gonfiandosi forma un’onda sonora simile ad un mare (Mendelssohn sembra farne una citazione all’inizio delle “Ebridi”), e a rassicurare che non vi è alcuna minaccia intervengono alternativamente i fiati in un calmo disegno ripreso poi dagli archi. Nell’allegro si consolida questa visione di serenità in una ilarità strumentale che intonata dai singoli strumenti rimbalza ad ogni sezione. L’allegro finale, in una ritmica irresistibile, che a tratti si arresta per dar luogo ad un elegante andamento mozartiano, conclude, con festante concisione, la sinfonia. Stupefacente capacità di Claudio Abbado nell’allegerire lo strumentale senza togliere la potenza Beethoveniana. Preso dall’entusiasmo suscitato dall’esecuzione della IV sinfonia di Beethoven, ne ho parlato per primo, invece il concerto era iniziato nel nome dell’ineffabile Mozart, con l’esecuzione di due concerti per violino e orchestra, il K211 e il K216, con la pregiata prestazione del solista Giuliano Carmignola. Appropriata scelta nel proporre questi due concerti, in quanto nel K211, pur nel sempre sorprendente Mozart, si ribadisce lo stile settecentesco dell’epoca, mentre nel K216 si avverte, pur rimanendo nello stile, la maturazione e la ricerca di rinnovamento, anche nell’imprevedibile finale quasi troncato. Il concerto terminava con due bis: la “Marcia turca” dalle “Rovine di Atene” di Beethoven (sempre ascoltata in versioni tronfie, mentre ora, pur nel tempo di marcia, in un’impronta di vivace scherzo) e l’legante Danza tedesca K605 n.3 (Il viaggio in slitta) di Mozart. Alla fine mi sono chiesto: “Mio Dio, ma qui non bastano gli applausi!”. L’avevo detto a voce alta ricevendo così il consenso degli astanti, ma a noi non rimaneva che l’applauso, che naturalmente toccava il massimo entusiasmo, condiviso dagli stessi strumentisti, in quanto richiamavano, con ritmiche e pesanti percussioni sulle tavole del palcoscenico, il loro Direttore, che in numerose uscite, fra il lancio di fiori, appariva con il suo noto aspetto di incredula sorpresa quale artefice di tanto successo. Ultimo atto di umile ma consapevole professionalità: gli strumentisti si accomiatavano congratulandosi con forte strette di mano e con abbracci. Il clamore era cessato, la gente usciva dal teatro, rimaneva la felicità unita alla nostalgia per quegli eventi che non dovrebbero mai finire. |
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