ABBADO NELLA STAMPA Il Resto del Carlino W.A.Mozart
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A poche ore dalla prima molto attesa de ‘Il flauto magico’ di Mozart un commento con il regista Daniele Abbado è d’obbligo, se non altro per sentirlo commentare di nuovo un capolavoro le cui caratteristiche lo hanno toccato davvero nel più profondo. Questa forte passione per i misteri irrisolti e le magie di cui quest’opera è ricchissima, l’ha comunicata più volte in tante occasioni, da ultimo nei diversi incontri con gli studenti universitari. Daniele Abbado come hai lavorato per questo spettacolo al teatro Valli? In questi due anni assieme a Claudio Abbado, Graziano Gregori per le scenografie, Carla Teti per i costumi e Guido Levi per le luci, abbiamo innanzitutto cercato la semplicità, evitando il grande rischio di monumentalizzare Mozart e di enfatizzare il mondo simbolico. In fondo, la massoneria di Mozart era diversa da quella che possiamo immaginare, era un mondo culturale ricco, un pensiero religioso di totale tolleranza. Abbiamo pensato a uno spettacolo di macchinismo teatrale, dove si parte da una grande scatola nera all’interno della quale coesistono e si muovono i tanti elementi in contraddizione che caratterizzano il Flauto magico: buio/tenebre, bene/male Che cosa ti affascina di più in quest’opera e che cosa affascinerà il pubblico ? Il Flauto magico è un’opera dove regna il non luogo, è uno spazio dell’immaginario e come ci dice Stendhal dove la difficoltà maggiore sta nel capire il racconto filosofico che c’è alla base e comunicarlo al pubblico. Anche per questo non è un testo del passato, ma un testo da capire, un testo del futuro: lo sforzo consiste nel fare avvicinare il pubblico a questo mondo ricco di sorprese e di contraddizioni. Da qui il senso del magico In questo Flauto coesistono più mondi e tutto si muove: il mondo della Regina della Notte è un mondo a sé, quello di Sarastro è semplicissimo, con un tappeto di legno inclinato, quello di Monostato è una tigre, i tre genii sono i veri deus ex machina, che si muovono su di un ponte e intervengono nell’azione. E Papageno? Papageno rappresenta quel mondo semplice, con grande capacità di comunicare, che si può anche le nel cinema del 900, per capirci, da Chaplin a Pasolini. La principale difficoltà per la messa in scena di un’opera che è anche parlata? E’ possibile cercare di fare del teatro moderno con il Flauto Magico, stando attenti a non commettere forzature. Una delle difficoltà è quella di collegare bene la buca dell’orchestra con il palcoscenico. E’ questo quello che abbiamo cercato di fare. L'eccezionalità di questo evento è la presenza di Claudio Abbado sul podio e di Daniele Abbado alla regia, il Flauto abbadiano insomma… Quando sono diventato direttore artistico de I Teatri ho pensato di invitare i migliori artisti a Reggio: da Daniele Gatti a Maurizio Pollini a Claudio Abbado. A Claudio Abbado ho proposto di scegliere tra Fidelio, Sogno di una notte di mezza estate, con altri registi, e Flauto Magico. La scelta è caduta sul Flauto perché ci sembrava fosse arrivato il momento di lavorare assieme a un’opera. E non farlo sarebbe stato un condizionamento al contrario. Come è stato lavorare con Claudio Abbado e, in generale con questo gruppo di lavoro? Abbiamo fatto due anni di audizioni per scegliere un cast giovane ma preparatissimo. Credo che sia uscito un buon lavoro perché ho sempre saputo che più bravo è il direttore e meglio si lavora.
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