CARLO MARIA GIULINI
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Carlo Maria Giulini se ne è andato per sempre, un "servitore" della musica come amava definirsi. Anche noi lo amavamo, aveva quell'atteggiamento umile ma consapevole di essere solo un interprete, un tramite fra le note scritte e chi si pone all'ascolto della musica, senza inutili abbellimenti, effetti ed esibizioni, che lo ha reso grande e indimenticabile fra i direttori d'orchestra del secolo passato. Generoso e sensibile anche degli aspetti che riguardavano la politica culturale musicale, si è dedicato negli ultimi anni, finchè le energie glielo hanno consentito, all'insegnamento ai giovani dell'Orchestra Verdi di Milano e della scuola di Musica di Fiesole. I loggionisti della Scala poi ricordano il suo spontaneo e immediato sostegno alla loro causa, quando sembrava che si volesse abolire una tradizione inveterata del teatro che ha consentito a generazioni di appassionati di assistere agli spettacoli a basso costo, facendo la coda il giorno stesso. Domani alla Scala in omaggio a Carlo Maria Giulini, alle 12.00, verrà eseguita dall'Orchestra Filarmonica, sotto la direzione di Myun Wung Chung, la sinfonia n° 3 Eroica di Beethoven. L'ingresso è libero. Vi riportiamo qui sotto il commento di Dino Villatico su Repubblica di oggi, 16 giugno 2005 e l'articolo di Giuseppina Manin sul Corriere della Sera, pure di oggi, che ha raccolto la testimonianza di Claudio Abbado che ieri a Ferrara ha dedicato a Carlo Maria Giulini l'andantino in re minore di Mozart, che l'orchestra ha eseguito in piedi e il pubblico ha ascoltato in piedi. Scrive oggi Dino Villatico su Repubblica: "In un mondo di interpreti esibizionisti, narcisi totali, Giulini evita l'esibizione, nasconde la propria emozione, si fa piccolo con la voce dei sommi di cui legge, puntigliosissimo, le partiture. ... Se le sue interpretazioni sembrano allontanare ogni scompostezza sentimentale, evitano anche ogni pedanteria analitica, ogni cincischiamento formale, ogni belluria timbrica, ogni prestigio d'orchestra. La pagina basta da sé a rivelarsi: l'interprete non è che l'umile lettore, la sua intelligenza, la sua sensibilità uno strumento per capire, non per sovrastare la pagina interpretativa. Ne risulta un percorso scabro, asciutto, persino monocorde, talora: ma l'intelligenza interpretativa di Giulini non cerca seduzioni, rifiuta le complicità, chiede una uguale intelligenza, la stessa, incondizionata disponibilità a farsi puro e semplice orecchio della voce che canta, a non proporre, né tanto meno imporre, la propria voce, i propri desideri, le proprie simpatie. L'ascoltatore per Giuloini, deve dimenticare se stesso, la propria ingombrante biografia, e liberarsi nello spazio paerto della pure disposizione alla voce dell'altro, a conoscere, capire, non già ciò che vuole ascoltare dall'altro, ma ciò che l'altro vuole fargli ascoltare. Insomma una lezione di umiltà. Essere disposti a stare zitti, a non far sentire la propria voce: essere, come diceva e ripeteva spesso Luigi Nono, "puro ascolto". Qui sta forse il significato, la lezione più profonda che Giulini ci lascia. In un'epoca che ama lo strillo, l'assordarsi, la protervia dell'impostazione forzata, il chiasso della mediocrità, lo sfarzo della volgarità trionfante, Giulini ci addita il silenzio della meditazione, il raccoglimento dell'ascolto, l'umiltà della lettura, la disponibilità amorosa della grazia. All'imposizione contrappone il suggerimento. Alla volgarità l'eleganza. Alla dispersione della chiacchiera l'essenzialità della parola che non gira vuota, che in musica è la semplicità della frase che scorre con la naturalezza di una legge matematica" Ed ecco l'articolo di Giuseppina Manin con la testimonianza di Claudio Abbado: LE REAZIONI «Signore d’altri tempi». Abbado: «Un padre spirituale» Ci sono morti che lasciano dietro più lacrime di altri. Carlo Maria Giulini è tra questi. La commozione e il dolore per la sua scomparsa scuotono il mondo della musica, trascinandosi dietro una scia di ricordi e di rimpianti. Per il grande maestro ma anche per l’uomo squisito che è stato. «Un vero signore, un gentiluomo d’altri tempi, una persona perbene...». Perché l’eleganza di Giulini, interiore ancor prima che esteriore, il suo stile di vita riservato, estraneo da ogni mondanità ed estro divistico, la sua generosità verso i giovani, restano dentro in chi ha avuto il privilegio di conoscerlo e frequentarlo come una luce discreta ma inestinguibile. Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, lo ricorda come «uno dei più grandi direttori del XX secolo che ha saputo affermare uno stile raffinato e rigoroso», al presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, che parla di «interprete colto, che ha dato prova di come l'arte possa esprimersi pienamente nel segno del rigore e della riservatezza» «Per me è stato un padre spirituale» confida Claudio Abbado che ieri sera ha voluto dedicare alla sua memoria il concerto tenuto con l’Orchestra Mozart a Ferrara. «Quante volte - riprende il direttore - durante gli anni al Conservatorio di Milano, lui invitava noi studenti a casa sua per darci quel prezioso qualcosa "in più", la sua attenzione, i suoi consigli. Una volta ho suonato come pianista sotto la sua direzione e ricordo che mi aveva dato un’idea nuova su come produrre il suono degli archi». Una lezione anche dal percorso musicale di Giulini: «Nei primi anni non eseguiva Mahler e Bruckner, ma a un certo punto in lui c’è stata una grandissima evoluzione e ci ha dato una meravigliosa lettura di alcune pagine di quei compositori» conclude Abbado che tanta ammirazione ha trasmesso anche al figlio Daniele, autore per la tv svizzera di un bellissimo documentario dedicato a Giulini. «Durante i suoi ultimi anni alla Scala abbiamo avuto una frequentazione intensa - ripensa Carlo Badini, per 13 anni sovrintendente dell’Ente lirico milanese e ora impegnato nell’Orchestra Mozart di Bologna -. La sua intesa con la Filarmonica scaligera è stata grande, i suoi concerti meravigliosi. Ne ricordo uno con lui sul podio e Horowitz al pianoforte: due grandi testimoni della musica magicamente insieme». Il legame con Giulini andò oltre quegli anni. «Quando ho cominciato a interessarmi all’Accademia Filarmonica di Bologna, lui subito mi dette la disponibilità ad aderire al gruppo dei sostenitori. L’ultima volta l’ho incontrato un paio d’anni fa. Andai a trovarlo nel suo studio di via Ciovassino. Era malinconico, la morte della moglie adorata l’aveva segnato accelerandone la decadenza. Chiacchierammo a lungo di musica. Il suo tormento era il distacco sempre più grande tra i giovani e la classica, conseguenza della dissennata politica culturale di questo Paese». «Giulini era un uomo strano, rilassato e teso nello stesso tempo, in lui c’era un punto oltre il quale, forse per un innato senso di dignità, non si lasciava mai andare» riflette Franco Zeffirelli che con Giulini realizzò Falstaff , Cenerentola e L’italiana in Algeri. E la famosa Traviata di Giulini-Visconti-Callas? «No, quella non mi ha mai convinto, tutta sbagliata, scene farraginose... Però Callas fu l’occasione per ritrovarci. Nel ’77 alla Scala realizzai un documentario su Maria e naturalmente intervistammo lui. Giulini era sublime per certi autori. Eseguiva Brahms come nessun altro. Era un uomo buono, molto buono. I musicisti, anche i più perfidi, sono comunque più vicini a Dio. Lui di certo lo è stato più di tutti». «Dio quanti lutti... Ghena Dimitrova l’altro giorno, ora Giulini - commenta Mirella Freni -. Sotto la sua direzione debuttai nello Stabat Mater di Rossini al Covent Garden. E nello stesso teatro londinese, sempre con lui, fui Traviata . Ruolo temibile, avevo una gran paura, ma lui mi condusse con una dolcezza e tenerezza davvero uniche. Una figura paterna: incuteva rispetto ma non potevi non amarlo». Dev’esser proprio così. Adriana Vecchiani, sovrintendente della Scuola di Fiesole fondata da Piero Farulli a cui Giulini ha dedicato gli ultimi anni della sua vita, non trattiene il pianto: «Carlo a Fiesole era amatissimo, è stato la grande anima della scuola. Quando è arrivata la notizia della sua morte i ragazzi, che per tante volte l’hanno avuto qui come maestro straordinario, subito hanno deciso di dedicare a lui il concerto del 21 giugno». A Fiesole Giulini aveva deciso di dedicare le sue ultime energie dopo il ritiro dal podio, nel ’98 in seguito al malore che l’aveva colto durante una prova con un’altra orchestra di giovani, la Verdi di Milano. Riccardo Chailly, che alla guida di quell’Orchestra arrivò proprio in quegli anni, lo ricorda così: «Sul piano sinfonico è stato un direttore internazionale, parlava tutte le lingue e aveva una grande apertura alla musica contemporanea: eseguì in prima assoluta l’ultimo concerto di Petrassi». Giuseppina Manin
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