LA CRONACA
 DEL WANDERER
N°118

Roberto  Rinaldi


Claudio Abbado


Intervista a
Giacomo Fornari
pubblicata ne
"Alto Adige"

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Primavera 2006

Bolzano
Auditorium Haydn

31 maggio 2006

Mozart

Concerto per corno e orchestra n. 1 in re maggiore K 412
Concerto per corno e orchestra n. 2 in mi bem. maggiore K 417

Concerto per violino e orchestra n. 5 in la maggiore K 219
Sinfonia n.35 in re maggiore K 385 "Haffner"

Giuliano Carmignola Violino
Alessio Allegrini Corno

Orchestra Mozart

Claudio Abbado














































































































































































































































































































L’atmosfera è sempre emozionante quando Claudio Abbado prova con i suoi ragazzi, mi verrebbe quasi da dire, i suoi amici per l’affetto ed il rispetto con cui li tratta. È un lavoro di cesello, un lavoro di fine ragionamento intellettuale quello con cui viene scandagliato e limato quel Mozart che viene portato in palcoscenico a Bolzano. Il mistero è che quando lo si vede lavorare, Claudio Abbado ha bisogno di poche, pochissime parole, di una battuta. E poi, il miracolo tutto musicale, cambia il suono, cambia l’effetto. Sono scambi di sorrisi con Giuliano Carmignola mentre viene fatta e ripetuta l’introduzione del concerto KV 219. Come è noto, il violinista veneziano da qualche anno ha sposato la cosiddetta prassi esecutiva storicamente informata cambiando completamente la cifra della propria esecuzione. Un’esigenza seria quella di andare indietro, di andare a ritroso a scoprire i lati più veri e più sinceri di un compositore e della sua musica: “in fondo è quello che desidera ogni interprete – racconta Claudio Abbado in una breve pausa regalata ai lettori del nostro giornale –: avvicinarsi il più possibile alle intenzioni del compositore interpretato”. Un sogno, questo, forse impossibile, ma agevolato da alcune attenzioni che i filologi ci insegnano a porre al testo: “e non solo. Dalla prassi esecutiva storicamente informata abbiamo potuto imparare moltissimo. Oggi l’esecuzione cambia, come cambia la soglia di attenzione che un artista deve dedicare a certe questioni. Anche se devo dire che alcuni problemi già me li ero posti quando avevo interpretato i concerti per pianoforte ed orchestra di Mozart con Rudolf Serkin. La ricerca delle sonorità, del fraseggio originale sono molto importanti. Ad esempio Mozart è molto attento quando vuole un suono tenuto, lo specifica. Di ciò non si può non tener conto. Così come il concetto di Andante che per il compositore salisburghese significa un tempo che va e, quindi, deve essere inteso diversamente. Ciò vale anche per le legature e tutti gli altri segni, apparentemente piccoli o grandi che siano”.

Questo atteggiamento spiega anche come mai, nei concerti per violino ed orchestra “che incideremo per la Deutsche Grammophon proprio con Giuliano Carmignola”, aggiunge Abbado, l’orchestra non è quella tradizionale con tanto di oboi, corni e timpani su copia degli originali. Un’attenzione alla prassi, al testo ed alla sonorità che Abbado presenta alla propria sintesi somma nel sul “Flauto magico”, tanto bello e tanto amato da essere entrato nelle classifiche dei dischi più venduti, un onore, questo, che tocca a ben pochi cd di classica e che per il nostro Paese rappresenta una piacevole eccezione. Un lavoro filologico, dicevo, che mostra anche evidenti varianti, come nel duetto “Bei Männern”, dove Abbado, basandosi sull’autografo di Mozart, cambia giustamente il testo omettendo due accordi che nessuno sa come mai si siano interpolati nel testo.

Certo, soprattutto in un anno di enfasi mozartiana quasi paradossale, ogni esecuzione del compositore salisburghese ha un che di particolare, ma giustamente Claudio Abbado pone l’accento sull’interpretazione in sé della musica, che per costituzione non è mai facile: “Qualsiasi autore non è facile. Per conoscerlo, bisogna capire anche cosa gli sta attorno. Il fatto che io abbia eseguito molto Schubert, Beethoven e Haydn, di cui ho diretto tutte le sinfonia londinesi, è senz’altro fondamentale per un approccio più corretto ed approfondito”. Da qui ne consegue il ruolo di responsabilità affidato ad ogni interprete che dovrebbe tendere a “cercare il più possibile di scavare, di capire il pensiero di un compositore. Ovviamente ciascuno crede di riuscirci meglio di altri interpretando alla sua maniera. In questo senso mi viene in mente un celebre episodio accaduto a Fürtwängler che avendo eseguito in modo stupendo “Morte e trasfigurazione” di Richard Strauss aveva sollevato le perplessità dell’autore che riteneva di aver scritto quella stessa musica in modo diverso”. Dunque interpretare è una grande responsabilità ed una gioia al tempo stesso, questo il messaggio che le prove di Claudio Abbado sembrano trasmettere con la profondità e l’entusiasmo che gli sono propri.

C’è da chiedersi però se davvero c’era bisogno di un’altra orchestra giovanile, visto che il direttore milanese ne ha fondate diverse: “In realtà le cose stanno diversamente rispetto a quanto possa sembrare. L’orchestra, per me, è una. Una sola. Avevamo iniziato con quella della Comunità europea. Ma è noto che io odio i limiti e trovavo insopportabile non poter chiamare musicisti di determinate nazioni. A quei tempi dovevo rinunciare agli austriaci, agli svizzeri, senza capire perché. È nata così la “Mahler” con un organico che non conoscesse determinate barriere, permettendomi di superare ogni limite, collaborando con musicisti che venissero dal Portogallo alla Russia e via dicendo. Il discorso della “Mozart” è diverso. L’abbiamo fondata a Bologna perché lì il compositore salisburghese aveva studiato con padre Martini. Oltre a ciò trovavo bella l’idea di poter disporre di un organico agile per procedere a delle incisioni per l’anno mozartiano. Un progetto che cresce di momento in momento”. Così come di momento in momento è cresciuta l’arte del fanciullo prodigio venuto in Italia e diventato compositore maturo e progressivo. Un artista che ha regalato al mondo un mondo di musica e di gioia: “sì, questo è il complimento più bello e che mi tocca nel profondo. Quando dopo un concerto mi si dice “questa interpretazione ha cambiato la mia vita”, oppure “mi ha salvato” – come mi è capitato più volte – o quando un ascoltatore mi racconta la gioia e la commozione sentite, provo senz’altro una grande soddisfazione. Questi gli unici complimenti capaci di darmi energia”. E proprio questo, d’altra parte, è il senso dell’unica arte destinata all’incantesimo della continua ricreazione ad ogni esecuzione. E anch’io mi aggiungo alla lunga lista dei commossi e dei toccati dalle splendide interpretazioni di Claudio Abbado, musicista, artista ed intellettuale della musica.

Giacomo Fornari

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