Per la quarta volta Claudio Abbado inaugurava il Festival di Lucerna con la sua Lucerne Festival Orchestra parzialmente rinnovata , senza Berliner Philharmoniker, senza quatuor Hagen, ma con nuovi elementi di qualità molto alta, le jeune Raphaël Christ, primo violino dell'orchestraMozart, figlio di Wolfram Christ, come "Konzertmeister" dei violini II, Albrecht Mayer, l'oboe magico sostituito da un'altro mago dell'oboe, Kai Frömbgen, della Bamberger Symphoniker (l'orchestra dove appunto Albrecht Mayer ha debutato come oboe solo), Jens Peter Maintz (Universität der Künste Berlin), come primo violoncello. Tutti questi cambiamenti (di qualità) non hanno cambiato nulla dell'omogeneità ne della sontuosità del suono di questa eccezionale compaggine.
Per questi due primi concerti, due programmi parzialmente diversi, apertura il 10 con Mozart e Cecilia Bartoli, poi l'11 con Martin e Quasthoff e in seconda parte comunque la Sinfonia n°6 di Mahler, la "tragica".
L'apertura del Festival è un avvenimento mondano, culturale e politico , tutto questo giustifica la scritturea di una star mondiale del disco quale Cecilia Bartoli, sorridente, simpatica, che canta tre arie, "chi sa chi sa qual sia", Kv 582, l'aria di Sesto de "La Clemenza di Tito" (Atto I scena 9) "parto, parto" Kv.621il Motetto "Esultate Jubilate" Kv.165, come bis il popularissimo "Voi che sapete" de "Le Nozze di Figaro".
Cecilia Bartoili è un fenomeno discografico prima di essere une fenomeno scenico e vocale. Semplicemente perché senza voce, senza nessuna proiezione vocale ne volume, solo i microfoni possono mettere in risalto l'incredibile e strana tecnica fatta di gargarismi (e non agilità), e la vera scienza dell'interpretazione che si percepisce nel "Tito" ma che è notevole nel "Figaro". Si capisce dunque perch&é la sua carriera evita teatri italiani il cui pubblico non perdonerebbe i difetti della voce e la tecnica particolare. Rimane la simpatia dell'artista, che ne esce con onorevole successo ma non un trionfo. Poco importa, l'incisione, con un cast "Mozart-Abbado-Bartoli" sarà senza dubbio un successo con buone entrate per Universal....
Di tutt'altro livello l'esecuzione dei 6 Monologhi tratti da "Jedermann", dello svizzero Frank Martin. Jedermann è una specie di Mistero moderno presentato ogni anno sul sagrato del Duomo di Salisburgo durante l'estate. Un testo mistico, a volte drammatico, una musica buia, tesa, forte, al limite del tonale e dell'atonale. Abbiamo ascoltato nel 2005 Quasthoff in questo pezzo a Berlino, e ancora una volta, ci stupisce questa voce chiara e profonda, con una pronuncia esemplare, quest'arte dell'emissione e della proiezzione (qualità di cui la Bartoli, detto tra di noi, potrebbe fare il suo miele....), che provoca un senso di "tempo sospeso".
L'orchestra di Abbado, precisa come mai, sa creare la tensione e il terrore (primi due Monologhi) ma anche l'intimità di un suono quasi cameristico (negli ultimi). L'ambiente si confa perfettamente con la sinfonia che segue. Questo momento di raccoglimento si chiude con un autentico trionfo del Quasthoff richiamato parecchie volte alla ribalta. Un grande momento.
Cosa dire dell'interpretazione della sesta sinfonia di Mahler? Risparmiamo un po' di superlativi e diciamo che, dalla generale al secondo concerto, siamo volati con la musica da un apice all'altro, sempre più in alto, come se volessimo sempre di più verso l'impossibile, verso l'inaccessibile ormai, se non nel nostro ricordo stordito e anche doloroso. Stordito dalla sorpresa, doloroso davanti all'incredibile profondità, doloroso dall'immersione nell'oceano di suoni inauditi fatti di perfezione formale e di emozione intensa, cosi intensa da far male. Di tutta questa incredibile complessità pero ne esce il sentimento di chiarezza cristallina, dove tutti gli strumenti si sentono. I musicisti come sempre danno tutto di se, con un impegno totale, citiamo gli incredibili rubati degli archi (sia violini che viole) che suonano realmente all'unisono, il corno vellutato di Allegrini in sintonia con il violino di Blacher, l'incredibile piccola armonia condotta dalla Sabine Meyer, la scoperta dell'oboe di Kai Frömbgen, la delicatezza dei contrabassi, la morbidezza delle trompe, si delle trombe, anche quando c'è un fortissimo, nell'ultimo movimento, tutti suonano con una suavità mai sentita, una sottilità di suono al limite del credibile. Questo Mahler di Lucerna, ormai da 4 anni, è un regalo divino, che rinnova ogni ascolto di Mahler e che apre nuovi, vasti orizzonti.
Il lungo silenzio che ha concluso la prima serata, da parte da un pubblico attontito, fermo in una sorta di prostrazione, e poi l'entusiasmo dei musicisti alla fine della seconda serata, tutti abbracciati tra di loro, che ci hanno interpellato all'uscità degli artisti ("incredibile, no? ancora meglio di ieri, no? fantastico!!") la dicono più lunga di qualsiasi critica. Dunque fermiamoci qui .
Guy Cherqui