PIERO CAPPUCCILLI Vittorio Mascherpa
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Piero Cappuccilli: un ricordo. Simone, Macbeth, Jago, Posa, Renato, Francesco Foscari e per concludere, nel 1987, Jago ancora, giunto come un ‘deus ex-machina’: per un milanese della mia generazione ero a cavallo dei trent’anni i ruoli “portanti” di Piero Cappuccilli s’identificano con il ricordo degli spettacoli musicalmente (e spesso non solo musicalmente) insuperati che hanno scandito, senza volerlo mai monopolizzare, il decennio dei Settanta. Forse non l’ho mai sentito fuori della Scala (allora, da Milano, non era necessario “itinerare” per avere quanto di meglio, Karajan purtroppo escluso, si potesse ascoltare al mondo), e poche volte senza Claudio Abbado sul podio; non saprei quindi dire se avesse davvero bisogno, come ho letto non senza stupore, di «sollecitazioni di direttori intelligenti: capaci di piegare l'iperbole alla giusta espressività» per non «caricare voce e gesto». “Vino generoso” la sua voce fu senza dubbio; ma non direi facesse «bum nello stomaco». Aveva, io credo, la possibilità di farglielo fare, magari per sollevare da solo, qui e là, le sorti di qualche serata che altrimenti avrebbe rischiato un esito incerto. Ma chi tiene in cuore come sua interpretazione piú rifinita, irrinunziabile, ricca di sfumature di fraseggio, di timbro, di dizione al punto che nel dicembre del 1977, una volta tanto, quell’ambigua parte di Posa che troppo spesso, per dirla con Mila, suona davvero come «tolta di peso dalla ‘Battaglia di Legnano’» ne fu resa coerente con il dramma che il grande e onestissimo storico torinese definì «una fase decadentistica nella coscienza di Verdi»; chi ricorda, magari con l’aiuto della registrazione “dal vivo” disponibile da qualche anno, quella memorabile interpretazione di Posa non potrà consentire con la banale contrapposizione baritono «naturale» / baritono «nobile»: a meno, forse, di voler considerare “non nobile” anche un’intonazione sicurissima e perfetta e quel senso dell’insieme dello spettacolo che permisero a Carlos Kleiber d’inserire senza prove Piero Cappuccilli nella ripresa di ‘Otello che fu detta “del centenario”. E dico convinto: solo quando manca quella visione musicale dell’insieme che rende duraturo l’interesse per uno spettacolo, potranno giovare, a mascherar carenze, «i tormenti filologici oggi di moda» (e fin troppo spesso, dico io, parziali se non di comodo). Altrimenti, quando la profonda conoscenza dell’Arte è divenuta vera fibra dell’Interprete e sola ne determina gesto, emissione, tocco o cavata, la filologia assume piuttosto un valore espressivo e si destina a rendere fedelmente la volontà dell’Autore, non la lettera delle sue note e indicazioni, di significato troppo spesso contingente o persino dubbio. Anche la sensibile versatilità e la personale discrezione di un Artista come Piero Cappuccilli rendono in un certo senso simbolico il suo forzato ritiro dalle scene poco dopo l’inizio di quei grigi anni Novanta che oggi speriamo davvero conclusi.
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