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L’atmosfera è diversa quando al Valli c’è Claudio Abbado: la passione che riversa sulla musica, l’energia della quale sono percorse le sue interpretazioni, sembrano infuocare la sala ancora prima dell’inizio. In ogni caso il programma del concerto di ieri, Schumann e Brahms, è di quelli che coinvolgono anche i sentimenti più sopiti. L’uno per la forza dei suoi colori orchestrali, l’altro per le sfumature, le tinte pastello e gli intimi trasalimenti racchiusi nella loro musica. Abbado trascina perché scolpisce, affonda senza che la veemenza lo colga. E il brano d’apertura, l’Ouverture dal Manfred, induce a lasciarsi abbagliare da quel gioco speculare di effetti contrastanti. Con la sua Mahler Chamber, scintillante nei diversificati e preziosi timbri orchestrali, disegna il movimento iniziale di queste ‘musiche di scena’ il cui testo di Byron (Abbado e i Berliner le affronteranno a fine maggio alla Philarmonie con Bruno Ganz voce recitante) è considerato una delle più sconcertanti ‘profezie’ dell’esplorazione dell’inconscio che siano mai scritte. Di grande plasticità il finale, una sorta la marcia funebre che disegna un clima di amletica tragicità. Natalja Gutman, un autentica forza della natura, interpreta quindi il Concerto per violoncello sempre dello stesso autore. Pur con un suono pieno e denso riesce a ricamare infinite dolcezze nel secondo tempo il cui tema principale è di una serenità placata, immerso in un clima lunare che esige uno levigato stile liederistico. Per contro pieno di frammenti tematici che si perdono come in una definitiva resa è il Finale dove il solista e l’orchestra dialogano e si fronteggiano. E’ bello vedere Abbado lavorare insieme ad un’ artista del valore della Gutman: le loro qualità,di inarrivabili musicisti,si fondono in un’intesa che dura da anni, in un’amicizia attraverso la musica- grande quanto inattaccabile che li porta a dare interpretazioni pulsanti di vita e di idee. Nella seconda parte la Serenata op.11 di Brahms il cui carattere dolce elegiaco s’impone e conquista. Cesella le sue note il corno di Gianfranco Dini e i legni: flauto, fagotto e clarinetto, raffinati e suadenti nel loro discorrere. Nello Scherzo viene esaltato il carattere bucolico, mentre l'Adagio non troppo,alquanto fascinoso è caratterizzato da un procedere rapsodico che attraverso il tematismo prolifico e la ricercatezza degli impasti timbrici profetizza il Brahms che verrà. Nei Minuetti emerge l'anima cameristica della stesura primitiva del brano, grazie un organico ridotto, mentre nel quinto movimento fanno capolino gli “Scherzi” del Beethoven prima maniera, stringati e impulsivi. Abbado non solo li esalta ma coglie in questo autori idee che verranno ampliate sviluppate dai musicisti del novecento: anche per questo incanta e non finisce mai di sorprenderci.
Giulia Bassi, 4 aprile 2006