ABBADO NELLA STAMPA Corriere della Sera Claudio Abbado e Albrecht Mayer nella LFO: Fare musica insieme (Foto Marco Caselli)
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A Roma 11 concerti con i musicisti del Festival di Lucerna Abbado: porto in tour la mia orchestra di star «Costretto a tante rinunce, ma sono fortunato» DAL NOSTRO INVIATO BOLOGNA - Claudio Abbado dà tre bis con la sua nuova Orchestra Mozart (fatto inusuale nella sinfonica dove i bis si fanno solo in tournée), e per far capire al pubblico in festa che il concerto è davvero finito, tutti seguono il maestro dietro le quinte proseguendo, col sorriso, a suonare le ultime note in piedi; c’è anche il violinista Carmignola che, dopo aver smesso i panni da solista, si mette col suo leggio nell’ultima fila, come se fosse un novizio, l’ultimo arrivato, e suona con gli altri. Qui c’è già quella «gioia di far musica assieme» che Abbado evoca per spiegare cosa c’è dietro la sua Orchestra delle Meraviglie. Per la prima volta da quando, nel 2003, l’ha rifondata, il grande direttore porta la Lucerne Festival Orchestra al di fuori dei confini svizzeri. Ogni anno toccherà una città diversa: nel 2007, Tokyo. Ma il privilegio della «prima» l’avrà Roma. Dal 6 al 12 ottobre, il suo complesso «all-star», ospite dell’Accademia di Santa Cecilia, terrà undici concerti all’Auditorium tra musica sinfonica e da camera; in platea si sono prenotati Roberto Benigni, che è amico di Abbado, e il presidente Ciampi. Ci sono Daniel Harding e Maurizio Pollini; insomma è, con qualche minima variazione (la Argerich al posto di Brendel), lo stesso «pacchetto» di due mesi fa a Lucerna. «Quando quest’esperienza cominciò, si decise che per i primi due anni avremmo lavorato soltanto a Lucerna. Questo perché alla base c’era il progetto di un gruppo di musicisti che hanno un rapporto umano e artistico speciale e amano suonare insieme. Alcuni di loro hanno cominciato nel 1978 a lavorare con me nell’European Community Youth Orchestra. Il concetto è sempre quello, un insieme senza confini burocratici né di nazione. Dopo è venuta la Gustav Mahler Jugendorchester, da cui è nata la Mahler Chamber Orchestra, al cui nucleo si sono aggregati alcuni grandi solisti: prime parti dei Berliner, musicisti di quartetti come l’Alban Berg o l’Hagen, Sabine Meyer e il suo ensemble, Albrecht Mayer all’oboe, Reinhold Friedrich alla tromba, al cello Natalia Gutman, Mario Brunello e Enrico Bronzi, poi Alessio Allegrini, Chiara Tonelli, Antonello Manacorda...In tutto una dozzina di italiani». Abbado parla con passione civile: «Non è la solita orchestra che affronta una tournée, ma la proposta e l’evoluzione di un progetto artistico. Far musica assieme è la mia passione, ma è anche importante sapersi ascoltare. Ascoltarsi collettivamente è una grande lezione reciproca che dovrebbe essere seguita a tutti i livelli. È una lezione di vita. Elias Canetti scrisse d’essere rimasto commosso dopo avere incontrato una persona che lo aveva attentamente ascoltato». Maestro, perché Roma? «Ho accettato volentieri l’invito anche in ricordo dell’accoglienza avuta per la maratona con i Berliner e del rapporto particolare con Santa Cecilia. Roma è una meravigliosa città con una grande ricchezza culturale, come del resto tutta l’Italia, che è vista però all’estero come un grande insieme d’opportunità culturali non sempre organizzato adeguatamente in rapporto al valore che possiede». Il prossimo anno guiderà per la prima volta in Italia, a Palermo, l’Orchestra «Simon Bolivar». «È uno dei progetti più importanti degli ultimi anni, realizzato da un musicista venezuelano di origine italiana, José Antonio Abreu: coinvolge più di 240 mila giovani musicisti, molti dei quali tolti dalla povertà dei barrios o delle favelas, cui è stata data la possibilità di ricevere strumenti musicali e un’adeguata educazione. Strappando i giovani alla strada e dando loro la fortuna di poter vivere con la musica, con l’aiuto di governi sia di destra che di sinistra, Abreu ha reso reale un sogno. La musica è una vera strada per la crescita sociale». Il maestro con i Berliner nel 2001 a Roma aveva il volto asciugato, tirato dalla malattia, dal «bambino che ho dentro», come dice lui. Ora è un’altra persona fisicamente. Sorride: «Dopo l’operazione, ho trovato un ritmo di vita che richiede un’enorme disciplina e non mi consente di lavorare nei ritmi invernali. Mi ritengo fortunato, così trovo il tempo per studiare in pace, penso che tutti lo possano capire e non prendere le mie rinunce come un fatto personale. Vorrei esprimermi senza retorica. Penso che da queste mie parole si possa capire quanto la musica mi aiuta per la vita, per vederne i suoi lati più importanti e la fortuna che ho di poterli realizzare. Valerio Cappelli
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