La folgorante tournée in Italia dell´orchestra venezuelana Simon Bolivar
Trionfano i 200 ragazzi di Dudamel e Abbado
"Tocar y Luchar" Suonare e lottare è lo slogan che portano in giro per il mondo
GUIDO BARBIERI
VIOLINI e viole che ruotano in aria come le pale di un elicottero, violoncelli e contrabbassi che danzano in tondo sul puntale, trombe e tromboni che fanno mulinello vorticando su se stessi. E alla fine una "ola" travolgente che parte dall´ultimo leggio dei violini e si infrange, ridendo forte, contro le percussioni. L´idea di "rivoluzione" i ragazzi dell´Orchestra Juvenil "Simon Bolivar" ce l´hanno scritta dentro, nel nome che si sono scelti. E la coltivano ogni giorno mettendo in pratica lo slogan che portano in giro per il mondo: «Tocar y Luchar", Suonare e lottare.
I piccoli fiori di questa lotta sorridente, di questa "rivoluzione delle viole", sono sbocciati per qualche giorno anche in Italia: una folgorante, tellurica tournée iniziata al Teatro Massimo di Palermo e approdata, giovedì e venerdì scorsi, all´Auditorium di Roma. Ed è bastata l´energia contagiosa, l´irresistibile vis musicale, di questi duecento ragazzi venezuelani per guarire, almeno momentaneamente, dall´artrosi cronica il pigrissimo sistema musicale italiano.
Il fatto è che loro sono il frutto di un altro Sistema, quello inventato da Josè Antonio Abreu, che trent´anni fa propose allo Stato poverissimo del Venezuela un´idea rivoluzionaria: insegnare la musica ai bambini e riempire il paese di orchestre, una in ogni regione, una in ogni città. Da allora il Sistema è diventato un gigante e oggi di orchestre ne mantiene in vita 245 facendo suonare, ogni giorno, più di duecentomila ragazzi.
L´orchestra intitolata all´eroe boliviano della Rivoluzione è, in questo mare di musica, la punta dell´iceberg e ha dimostrato durante la due giorni romana una maturità sorprendente, grazie alla esplosiva lucidità di Gustavo Dudamel, un altro figlio del Sistema, che ha sfoderato un Egmont robustissimo e travolgente, una Quinta di Beethoven coerentemente anti-classica e una Quinta di Mahler furiosamente anti-decadente. Lasciando a Claudio Abbado il compito di guidarla, con la scienza invisibile di un gesto discretissimo, lungo i sentieri irrisolti del Triplo Concerto di Beethoven. E alla fine anche il Dream - Trio composto da Alexander Lonquich, Mario Brunello e Ilya Gringolts, si è lasciato felicemente travolgere dalla incontenibile "onda" venezuelana.