ABBADO NELLA STAMPA

La Repubblica delle donne
20 settembre 2006

Gustavo Dudamel


L'articolo di Leonetta Bentivoglio






















 


Gustavo l'impetuoso


25 anni, venezuelano, è il fenomeno della musica d'oggi. Gustavo Dudamel, acclamato da colleghi, pubblico e critici, passa dalla Scala a Dresda, da Londra a Los Angeles. Mostrando dal podio la sua incontenibile passione

di Leonetta Bentivoglio

Amo la musica con passione e senza pregiudizi. Mi incanta la varietà delle sue strade. Il ritmo travolgente della salsa e gli universi di Beethoven, la sensualità del merengue e le emozioni delle Sinfonie di Mahler. La musica è per tutti, di tutti: sono infiniti i suoi percorsi per arrivare al cuore della gente".

Parla così, con trasporto e candore, il 25enne direttore d'orchestra venezuelano Gustavo Dudamel. Con il suo aspetto da ragazzino riccioluto e ridente, è lui il "maestro giovane" del momento: il più richiesto, conteso, acclamato e "bersagliato" dai media tra i campioni del podio della sua generazione. Musicista impetuoso, capace di esprimere "un'intensità che fa tremare i muri" (l'ha scritto il Financial Times), il nuovo divo Dudamel corre nel mondo festeggiato dai giudizi di indiscutibili "padrini". "È il più importante fenomeno oggi prodottosi nel campo della musica classica", sostiene l'inglese Simon Rattle, attualmente alla guida dei Berliner Philharmoniker. "La sua interpretazione della Settima Sinfonia di Beethoven è la più entusiasmante che io abbia ascoltato di recente", incalza un'altra stella del podio come Daniel Barenboim. "È il più dotato tra i giovani direttori", si sbilancia Claudio Abbado. "Ha un talento naturale impressionante", s'infervora Lorin Maazel.

Le conferme si moltiplicano da quando, nel 2004, l'irruente Gustavo ha vinto la medaglia d'oro al prestigioso Concorso Mahler di Bamberg. Da allora dirige nei luoghi più ambiti della musica internazionale: ai Proms di Londra, al Festival di Verbier, sul podio della Filarmonica di Los Angeles e della Boston Symphony, della londinese Philharmonia e della Staatsakapelle di Dresda. L'ascesa è rapida, qualcuno dice fin troppo, sospinta da una delle più potenti agenzie musicali inglesi. E c'è chi lo accusa di gestualità eccessiva sul podio, movimenti scatenati e disorientanti, ambizione smisurata nel voler bruciare le tappe. Dudamel non ci fa caso e accumula traguardi: ottiene la nomina a direttore stabile della Sinfonica di Göteborg (l'orchestra nazionale svedese), firma un contratto di esclusiva con la Deutsche Grammophon. Quanto all'Italia, dopo una serie di concerti di successo - a Santa Cecilia, a Milano con la Filarmonica scaligera, a Spoleto con la Filarmonica d'Israele - prepara il debutto operistico niente meno che alla Scala, nel Don Giovanni di Mozart (dal 10 ottobre, per ben dodici repliche).

Il suo carisma poggia su radici culturali esotiche e speciali. Dudamel è "figlio" dell'imponente sistema pedagogico-musicale creato in Venezuela da José Antonio Abreu, musicista ed ex ministro della cultura, piccolo e minuto come un giunco ricurvo, soprannominato "papa-dio" in patria, dove lo considerano un mito vivente. Abreu ha organizzato, nell'arco di un trentennio e con sovvenzioni pubbliche, una rete d'istruzione musicale che coinvolge 250 mila ragazzi, di cui il 90% arriva da famiglie disagiate. Grazie a questo suo progetto oggi la musica, in Venezuela, rappresenta una via di riscatto esistenziale per i ragazzi dei barrios più degradati e miseri, fortemente a rischio in un paese dove il 75% degli abitanti vive sotto la soglia della povertà.

Dudamel è il prodotto più pregiato di questo sistema musicale e di recupero sociale, senza confronti nel mondo. A lui spetta la direzione dell'Orchestra Simon Bolivar, che riunisce i 200 migliori elementi di tutte le formazioni giovanili venezuelane. E alla testa della "sua" Bolivar è appena stato in Italia, prima al Massimo di Palermo e poi a Roma per Santa Cecilia, alternandosi sul podio con l'amico e promoter Claudio Abbado.

Nato nel 1981 a Barquisimeto, detta "ciudad crepuscolar" per la bellezza dei suoi tramonti, Gustavo è cresciuto in una famiglia di musicisti: "Mio padre è trombonista, mio zio suona musica popolare. Era musicista anche mio nonno e suonavano altri membri della mia famiglia, tutti con uno strumento in mano", racconta durante uno dei suoi passaggi a Roma accanto alla moglie Eloisa, bella come un angelo, ex ballerina e inseparabile compagna di viaggio, sposata 8 mesi fa. "A 4 anni", continua, "avrei voluto studiare il trombone, ma avevo il braccio troppo corto e dovetti rinunciare. Per consolarmi mia nonna mi regalò una bacchetta, con cui mi misi a dirigere, sui dischi, le massime orchestre. Disponevo i miei soldatini di piombo in formazione orchestrale e li guidavo con foga. Di tanto in tanto mettevo il disco su "pausa" e dicevo ai musicisti che potevano fare di meglio".

Al Conservatorio di Barquisimeto inizia la sua vera istruzione musicale, quando a 10 anni prende a studiare il violino. Contemporaneamente entra in una delle orchestre giovanili di Abreu, salendo sul podio, per la prima volta, a dodici anni: "Eravamo in prova, e io sfruttai una pausa per tentare di dirigere. Lo feci per scherzare, volevo far ridere i miei compagni. Invece loro mi presero sul serio e seguirono tutti il mio gesto".

L'incontro con il venerato Abreu fu la svolta decisiva. "Il suo sistema", afferma Dudamel, "ha un prodigioso potere salvifico e aggregante. Non smette di stupirmi per la quantità di bambini che sa coinvolgere e per le sue implicazioni politiche, sociali e umanitarie. Oggi, nel mio paese, sono 150 le orchestre giovanili e 140 le infantili. In più ci sono i complessi preinfantili, con strumentisti dai quattro ai sette anni, e grazie al suo sistema sono nate anche trenta formazioni professionali. Per non parlare dell'Orchestra Chorros, formata da orfanelli raccolti sui marciapiedi. Quando provo coi più piccoli capita che abbiano difficoltà di concentrazione. Un giorno, lavorando con un gruppo di bambine, non riuscivo più ad andare avanti, e mi sono visto costretto a mettermi a giocare con le bambole insieme a loro. S'impara anche da situazioni come queste".

Il sistema Abreu è concentrico e piramidale, come un gioco di scatole cinesi: "I ragazzi, quando salgono di livello, devono insegnare ai più giovani, i quali, a loro volta, fanno studiare i più piccoli e così via. Insegnano anche agli adulti, e in questo modo sono nate anche orchestre di genitori.

Gli strumentisti stimolano l'interesse di parenti e amici, con l'esito di una benefica epidemia di amore per la musica. Questa diffusione capillare ha un effetto esaltante sulla composizione del pubblico dei concerti di classica: il 90% è formato da giovani. E tantissimi sono bambini".

C'è un'impagabile freschezza, si entusiasma Dudamel, nel modo di suonare dei "suoi" ragazzi della Bolivar, come se concentrassero ogni energia in quel momento di fortissima condivisione che è un concerto: "L'Europa è una gigantesca culla dell'arte, un patrimonio a cui tutti aspiriamo. Ma in America Latina c'è dell'altro: un flusso trascinante di vitalità, un continuo impulso al cambiamento, una sete di scoperte inestinguibile. Per questo, quando si esegue Beethoven, è sempre come se la musica fosse stata appena scritta".

Uno dei direttori da cui Dudamel si sente più influenzato, forgiato è Claudio Abbado, "sia per la qualità del suo genio, che già ammiravo da tempo, sia per l'uomo e il suo grande cuore, testimoniato dall'impegno a favore del progetto venezuelano. L'ho conosciuto nel 1999 a Caracas, era in tournée con la Mahler Chamber Orchestra. In quell'occasione venne ad ascoltare l'Orchestra Bolivar che stavo dirigendo e l'anno successivo ci invitò a tenere un concerto alla Philharmonie di Berlino".

A Abbado, spiega, deve innumerevoli lezioni d'umiltà: "Anche quando riprende un brano eseguito migliaia di volte, alle prove è sempre come se fosse la prima". Dudamel non teme d'esser vittima del proprio incontenibile, sfrenato temperamento, come qualcuno ha scritto. Quand'è sul podio ha idee lucide, chiare: "Facendo musica mi sento sicuro, il che non significa che non abbia ancora tanto da imparare. Studio, mi preparo, ascolto le registrazioni dei più grandi, da Furtwängler a Karajan. Approfondisco, scavo nel- le partiture. Non ho paura, anche se a volte, nelle grandi orchestre internazionali che dirigo, mi trovo a governare strumentisti che hanno il doppio dei miei anni. Bisogna aprirsi, dare tutto. La musica è scambio, e il direttore un tramite tra partitura e orchestrali. Guai se ci si chiude, ci s'irrigidisce".

Dopo aver guidato al Festival di Spoleto la Israel Philharmonic, Dudamel ha diretto 4 concerti a Haifa e Tel Aviv: il suo primo show in Israele "era programmato proprio il giorno dei bombardamenti degli Hezbollah su Haifa. In programma c'erano i mahleriani Kindertotenlieder (Canti della morte dei bambini), di cui quel particolarissimo contesto mi ha portato a cogliere ancora più in profondità il senso dolente. L'attacco era avvenuto poco prima, c'erano echi di esplosioni in sala. Ero convinto che sarebbe stata vuota, invece era affollatissima, il pubblico voleva partecipare. È questa la lezione della musica, il suo inesauribile messaggio unificante".

























































































































































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